sabato 20 luglio 2013

[Freebanking] Rigettiamo l’accusa di frode (prima parte)

di George Selgin e Lawrence H. White (traduzione di Tommaso Cabrini)
[Il seguente articolo è un estratto del paper "In Defense of Fiduciary Media-or, We are Not Devo(lutionists), We are Misesians!" - The Review of Austrian Economics Vol. 9, No. 2 (1996): 83-107 ISSN 0889-3047]

Rothbard (1962, 1983b, 1990, 1995) a lungo sostenne che la riserva frazionaria è intrinsecamente fraudolenta, e Hoppe segue Rothbard lungo questo sfortunato vicolo cieco. Noi troviamo che la posizione della intrinseca-frode sia impossibile da riconciliare con la stessa teoria di Rothbard (1983a, pp. 133-48) del trasferimento di titoli tramite contratto, che noi accettiamo, e alla quale Rothbard si appella per difendere la libertà, da parte di individui consenzienti, di impegnare volontariamente la loro proprietà (di cui sono giustamente in possesso). Rothbard (1983a, p. 142) definisce la frode come “l’incapacità di rispettare un accordo volontario riguardante il trasferimento di proprietà” [1] Gli accordi relativi alla riserva frazionaria non possono quindi essere intrinsecamente o inevitabilmente fraudolenti. Il fatto che una particolare banca stia commettendo una frode detenendo una riserva frazionaria dipende dai termini dell’accordo di trasferimento dei titoli tra la banca e i suoi clienti.

Rothbard (1983a, p. 142) ne “L’etica della libertà” da due esempi di frode, entrambi coinvolgono lampanti rappresentazioni fuorvianti (in una, A vende a B un pacco il quale A dice contenere una radio, ed invece contiene solamente un cumulo di rottami metallici). Rothbard conclude che “se l’oggetto non è come lo descrive il venditore, allora ha avuto luogo una frode e quindi un furto implicito”. La conseguente applicazione di questa visione all’attività bancaria dimostrerà che il comportamento di una banca che detiene riserve frazionarie è fraudolento se, e solo se, la stessa banca si presenta come se detenesse una riserva intera, o se il contratto con i clienti prevede espressamente l’accantonamento di una riserva intera. [2] Se una banca non si presenta come tale o non si obbliga espressamente a detenere una riserva intera, allora la riserva frazionaria non viola l’accordo tra la banca e i suoi clienti (White 1989, pp. 156-57). (Nella pratica, l’incapacità di soddisfare la richiesta di rimborso, che la banca è obbligata contrattualmente a soddisfare, costituisce violazione dell’accordo). Mettere fuorilegge i contratti volontari che permettono la detenzione di riserve frazionarie rappresenta quindi un intervento nel mercato, una restrizione della libertà contrattuale, che è una parte essenziale dei diritti della proprietà privata.

Hoppe definisce la nostra difesa della libertà di effettuare contratti compatibili con la riserva frazionaria “stupida” perché, afferma, “quasi nessun” depositante ha mai capito che parte dei suoi depositi è stato prestato dalla banca, anche se (come riconosce) il pagamento di interessi sui depositi sarebbe altrimenti impossibile. Dubitiamo che la maggior parte dei depositanti sia così ingenuo come crede Hoppe. Come ha correttamente osservato Rothbard (1990, p. 47): “E’ ben noto che raramente le banche abbiano mantenuto una riserva intera per molto tempo”. Perciò troviamo difficile a credersi che molta gente che accetta le banche a riserva frazionaria lo faccia solamente a causa del miraggio che il 100 percento del denaro da loro depositato rimanga nella cassaforte della banca fino a quando non lo chiedono indietro.

Ma, indipendentemente dal fatto che, se informati, i clienti delle banche a riserva frazionaria siano la maggioranza o la minoranza, la posta in gioco è la loro libertà contrattuale. Se una persona, consapevolmente, preferisce mettere denaro in un conto a riserva frazionaria (fruttifero di interessi), piuttosto che in un conto a riserva intera (che addebita commissioni per la custodia), allora un generalizzato divieto di praticare la riserva frazionaria sarebbe una stretta restrizione legale alla libertà contrattuale nel mercato dei servizi bancari.

Walter Block (1988, pp. 28-30), sebbene (seguendo Rothbard) giudichi la riserva frazionaria “come attualmente costituita” come “una frode e una truffa” riconosce che la riserva frazionario potrebbe essere non ingannevole e volontaria. Per fare ciò, sostiene Block, la banca deve scrivere un’adeguata informativa, sulle banconote e contratti di deposito, riguardo la detenzione di riserve frazionarie e delle politiche di rimborso. Hoppe (1994, p. 71), citando Block, similmente ammette che la pratica della riserva frazionaria diverrebbe non-fraudolenta se la banca informasse esplicitamente i depositanti che si riserva il diritto di “sospendere o differire i rimborsi” in qualsiasi momento.

Se coloro che pongono l’obiezione della “frode” alla riserva frazionaria ora concedono che tale obiezione svanisce quando le banche applicano una sorta di “etichetta con le avvertenze”, allora ammettono che la riserva frazionaria non è intrinsecamente fraudolenta.

La frode avviene solo se i clienti di una banca vengono ingannati in merito alle sue pratiche. Il restante dibattito normativo si riduce alla questione del fatto che una “etichetta con le avvertenze” sia davvero necessaria ad evitare di fuorviare i clienti (il che, secondo noi, dipende da quanto ragionevole sia che l’assunto di base, in assenza di “etichetta”, debba essere che venga detenuta una riserva intera), e, se così fosse, sul quanto esplicita debba essere l’avvertenza. C’è inoltre la questione del fatto che banconote e depositi a riserva frazionaria possano davvero circolare tra un pubblico informato.

La nostra opinione è che un “etichetta con le avvertenze” obbligatoria sia certamente meno sgradevole di un divieto assoluto di praticare la riserva frazionaria, e non impedirebbe la pratica della riserva frazionari, ma non è assolutamente necessario per evitare di fuorviare i clienti, poiché un “deposito” non viene comunemente concepito come una garanzia di riserva intera, quando non diversamente specificato. Come descrisse Rothbard (1970, p. 34) l’approccio libertario alla prevenzione dell’adulterazione, “se un uomo semplicemente vende ciò che chiama “pane”, questo deve incontrare la definizione di pane comunemente usata dai consumatori, e non qualche specifica arbitraria. Ad ogni modo, se specificasse la composizione del filone [Rothbard non suggerisce che questo debba essere obbligatorio], sarebbe punibile nel caso mentisse.” Noi sosteniamo che la definizione comunemente usata di un “deposito bancario” sia, come i tribunali hanno riconosciuto (Rothbard 1983b, pp. 93-94), quella di un titolo di credito nei confronti della banca, e non di una ricevuta di magazzino [n.d.t. in inglese la parola “deposit” si riferisce unicamente al deposito bancario, o eventualmente a quello geologico, per il deposito, inteso come magazzino, viene usata la parola warehouse].

Block e Hoppe propongono avvertenze leggermente diverse considerate adeguate ad evitare la frode. Non è chiaro se stiano semplicemente offrendo esempi, o invece credono che siano le sole modalità adeguate di avvertimento. L’avvertimento di Block dettaglierebbe il rapporto di riserve della banca e la sua politica da adottare per far fronte alle richieste di restituzione quando queste dovessero eccedere le riserve (ad esempio, first-come first-served). Il suo esempio sembra ritenere che la banca manterrebbe un rapporto di riserve fisso (poiché specifica il rapporto sulle sue banconote). La banca e i suoi clienti potrebbero preferire, comunque, concedere alla banca la discrezione di variare il tasso di riserva secondo prudenza. Sottoposto a diverse condizioni, un tasso variabile risulta necessario per mantenere un rischio di default costante. L’avvertimento di Hoppe informerebbe i creditori che la banca si riserva il diritto di sospendere o differire la restituzione in qualsiasi momento. [3] Ma alcune banche e i loro clienti potrebbero preferire un contratto di prestito a vista che non dia alla banca alcun diritto di sospendere i prelievi. E quindi?

Hoppe paragona la sua avvertenza alle “clausole di opzione” storicamente poste sulle banconote, ma bisognerebbe notare che queste clausole concedevano solamente il differimento, o la sospensione temporanea, e mai una sospensione a tempo indeterminato delle riconsegne (chi, dopotutto, accetterebbe una banconota che possa essere sospesa permanentemente?). Le banche scozzesi che emisero banconote con clausola di opzione si riservavano esplicitamente il diritto di differire la riconsegna per un periodo specificato, nel qual caso la banconota sarebbe stata ripagata con uno specificato (ed alto) bonus a titolo di interesse. [4] In pratica le banche lavorarono per decenni senza bisogno di utilizzare l’opzione, e le banconote con clausola circolarono tranquillamente alla pari, perché non ci si aspettava che le banche avessero bisogno di invocare l’opzione. La profezia di Hoppe secondo la quale le banconote con clausola di opzione “sarebbero assolutamente inadatte come mezzo di scambio” è falsa, a giudicare dalla testimonianza scozzese.  

1 Una più comune definizione di frode la limita ad un raggiro intenzionale o deliberato a scopo di lucro. Quindi un fallimento non intenzionale nel rispettare i termini di un accordo, a causa di circostanze inaspettate al di la del controllo delle parti in causa, costituirebbe una violazione del contratto, ma non una frode. Comunque, nulla di quanto qui discusso verte su questa distinzione.

2 il fatto che sia fraudolento detenere una riserva frazionaria a fronte di una passività bancaria non dipende, di per sé, dal fatto che sia una passività a scadenza o a vista, ma solo dal fatto che la banca si sia falsamente presentata come a riserva intera. I termini di restituzione di un particolare titolo emesso da una banca (per esempio l’opzione di ottenere la riconsegna in qualsiasi momento) non la rappresenta, di per sé, come una banca che detiene riserve intere a fronte di passività a vista. Rothbard (1990, pp. 49-50) argomenta diversamente, basandosi sulla visione secondo la quale le banconote e i depositi a vista di una banca sono necessariamente ricevute di magazzino e non debiti. Non capiamo perché le banche e i loro clienti non possano contrattualmente accordarsi per renderli debiti e non ricevute di magazzino, e siamo portati a credere che storicamente sia stato effettuato tale accordo.

3 Hoppe vorrebbe anche obbligare la banca ad informare i mutuatari che i loro prestiti possono essere richiamati in qualsiasi momento. In un passaggio Hoppe (p. 70) sottolinea che una banca a riserva frazionaria non “informa che alcuni o tutti i crediti concessi sono stati creati dal nulla e sono quindi soggetti ad essere richiamati in qualunque momento” e propone che una banca a riserva frazionaria non fraudolenta dovrebbe avvisare i mutuatari “che i loro prestiti possono essere istantaneamente richiamati”. Forse Hoppe crede che le banche a riserva frazionaria normalmente abbiano il diritto segreto di richiamare i loro prestiti in qualunque momento, e magari ciò sta alla base della sua credenza che i loro prestiti rendano la struttura del credito più rischiosa. Siamo sconcertati all’idea di dove possa aver ottenuto tale credenza infondata. Le banche a riserva frazionaria non hanno l’opzione di richiamare i crediti ad eccezione dei casi in cui tale opzione sia esplicitamente specificata nel contratto di prestito. Quando un prestito è richiamabile la disposizione non è un segreto per il debitore. Storicamente i prestiti richiamabili sono stati una ridottissima quota di tutti i prestiti bancari. Rifiutiamo, inoltre, la nozione, espressa nel passaggio citato pocanzi, che banche in libera concorrenza emittenti titoli redimibili possano creare credito “dal nulla”. Per conformazione del bilancio stesso tutti i prestiti concessi da una banca devono essere finanziate da debiti o patrimonio. Nessuna fonte di denaro può essere evocata dal nulla. Nessuno è obbligato a detenere passività redimibili di una banca in una libera concorrenza o a comprarne le azioni; chiunque può detenere titoli di altre banche, o di nessuna banca. Una banca in regime di libera concorrenza deve inoltre utilizzare risorse per attrarre clientela offrendo interessi e servizi. La nozione secondo la quale una banca possa ampliare il credito senza costi o gratuitamente è valido solo nel caso del credito submarginale di una banca monopolista, o dell’emittente di una valuta a corso forzoso; non si applica ad una banca in un sistema competitivo (vedi Mises 1980, pp. 346-7). 
 
4 Checkland (1975, p. 67) offre un facsimile di una banconota con clausola d’opzione emessa dalla Royal Bank of Scotland. La faccia della banconota recita, in caratteri sufficientemente grandi (occupano praticamente l’intera facciata), “La Royal Bank of Scotland […] con la presente si obbliga a pagare a [nome] o al Portatore, una Sterlina d’argento o, in opzione dei Direttori, una Sterlina e sei Pence d’argento al termine di sei mesi dal giorno della richiesta e per accertare la richiesta e l’opzione da parte dei direttori, al contabile e a uno dei cassieri della banca, con la presente, si ordina di contrassegnare e firmare questa banconota sul retro della stessa”. La Bank of Scotland, conosciuta anche come “the Old Bank”, introdusse la clausola di opzione nel 1730. Checkland (1975, p. 68) afferma che “l’adozione della clausola non sembra aver danneggiato l’emissione di banconote della Old Bank”. Il pubblico, presumibilmente, si rende conto che la banca avrebbe cercato di evitare di dover invocare l’opzione per differire la restituzione, sia per motivazioni reputazionali sia perché la banca avrebbe dovuto, secondo i termini della clausola, pagare gli interessi sulle banconote. La banca non invocò l’opzione fino al 1762. Le clausole d’opzione furono messe fuorilegge nel 1765.

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