venerdì 15 marzo 2013

Alle Falkland si vota. E in Lombardia?

di Paolo Amighetti

 

I cittadini delle isole Falkland si sono recati alle urne per decidere se restare legati a Londra o passare sotto la tutela di Buenos Aires. La scheda referendaria presentava la domanda:
«Desidera che le isole mantengano il loro status politico attuale, come territorio oltremare britannico?». L'esito della consultazione è stato reso noto martedì: il 99,8% dei votanti (l'affluenza è stata del 92% degli aventi diritto) ha ribadito il suo consenso alla sovranità della Corona britannica sulle isole. I cittadini, insomma, si sono rivelati una volta di più allergici alle unilaterali rivendicazioni argentine. Al di là del risultato, ad ogni modo, sono significativi due aspetti della faccenda: in primo luogo, questo referendum è stato indetto con l'intenzione di mettere la parola «fine» ad un contenzioso internazionale per risolvere il quale, negli anni Ottanta, si scelse di ricorrere alle armi. Ciò testimonia come la consultazione referendaria sia lo strumento migliore per sciogliere nodi difficoltosi, che turbano la vita politica anche per molti anni; che si sia passati dalle bombe sulle case alle croci sulle schede, inoltre, dimostra come in Occidente il ricorso alla violenza, almeno per impedire l'altrui autodeterminazione, sia sempre meno frequente.
Viceversa, e questo è il secondo lato interessante della questione, rivolgersi ai cittadini, porre sulle loro spalle la responsabilità di una scelta chiara, lasciar loro l'ultima parola sembra la prassi più ragionevole. La Corona inglese ha concesso il voto ai cittadini delle Falkland come agli scozzesi: i primi hanno già deciso del proprio futuro, i secondi li imiteranno in tempi brevi. In Catalogna, come sanno bene i lettori di questo blog, si lavora per fare lo stesso. In Québec pure. In un simile contesto internazionale, come può il governo italiano giustificare il suo «no» a che i cittadini decidano se restare o meno al servizio delle sue istituzioni? Dovunque in Occidente (o quasi) il diritto di «stare con chi si vuole» aumenta il suo peso politico. In Italia, no. Da noi, tra i tanti, c'è un nodo che deve venire al pettine: ed è quello del trasferimento di ricchezza dalle regioni virtuose a quelle viziose. La permanenza entro i confini dello stato italiano comporta per la Lombardia il costo che sappiamo, in termini economici e fiscali in primis; ma oltretutto ai lombardi è negato un diritto che ad altri è concesso, quello alla piena autodeterminazione. Dunque non sono solo schiavi fiscali, ma anche dei parìa. Si noti: chi scrive non chiede che i lombardi possano decidere per la secessione. The Road to Liberty è a favore dell'indipendenza, s'intende: ma non è questo il punto. Il nostro intento è garantire ai lombardi (ma anche ai veneti e a tutti coloro che lo desiderano) il diritto di scegliere. Tra una, due, tre opzioni: basta che si esprimano, cioè che ne abbiano la possibilità. Come è successo alle isole Falkland, come succederà presto in Scozia e Catalogna.



 

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