sabato 16 febbraio 2013

Giannino, tormento del Cavaliere

di Paolo Amighetti
Chi è, oggi, il nemico numero uno di Silvio Berlusconi, l'uomo che più irrita il Cavaliere? Non è Bersani. L'affabile emiliano recita il suo copione di leader del centrosinistra, dal quale non ci si aspettano baci né carezze. Sarebbe strano il contrario. Non è nemmeno Monti. Berlusconi ha ribadito un giorno sì e l'altro pure che il centrodestra ha sostenuto il professore ma ha preso un grosso abbaglio, al quale rimedierà in caso di vittoria il 24-25 febbraio: la questione, tutto sommato, è morta lì. Non è Vendola, né Ingroia, né Grillo. I primi due sono pesci piccoli, il comico genovese è più probabile tolga voti alla sinistra che agli aficionados di Silvio. Chi manda in bestia l'ottimista ex-premier è Oscar Giannino, capo di un partito modesto con modeste aspirazioni e poco seguito. Perché mai? Per vari motivi. Tanto per cominciare, gli uomini si somigliano poco. Berlusconi è irriverente, colorito e volgare come Giannino è ironico, sottile e (di solito) cortese. L'uno vende prodotti scadenti che piacciono al grande pubblico, l'altro parla quasi «che non si capisce» a furia di lanciarsi in analisi squisitamente economiche. L'uno cerca di sembrare giovane e giovanile, l'altro sembra sbucato da un salotto di fine Ottocento. Due figure incompatibili, condannate all'antipatia da quando Giannino si è deciso a «scendere in campo» per sparare a zero sugli ultimi diciotto anni di delusioni berlusconiane.
Qui sta la seconda ragione del loro astio, ben più seria. Il Cavaliere ha sempre cercato di trasformare la politica in una lotta tra il bianco e il nero, anzi tra blu e rossi: da una parte della barricata lui, sorridente e fiducioso, dall'altra i comunisti cupi e maligni. Suo intento è sempre stato raggiungere la coesione delle «forze moderate», garantendo a tutti una fetta di potere ad una sola condizione: che si radunassero sotto le sue bandiere e ne accettassero la leadership. La storia delle sue consorterie è lunga: prima il Msi (non ancora An), la Lega, e Casini; poi Fini, inglobato nel Pdl, Bossi e Lombardo, oltre ad una miriade di piccole liste. FARE per Fermare il Declino, al contrario, non si è aggregato al centro-destra: anzi, per i sostenitori (e anche per i promotori) di FARE la «discesa in campo» di Giannino è una risposta a quella, inutile, del Cavaliere. Senza contare che il giornalista torinese, dopo essere stato vicino a Berlusconi, se ne distacca ripetendo di essere deluso dal suo operato. Ora vuole batterlo sul suo stesso campo, quello dell'abbassamento delle tasse e dello snellimento della burocrazia: e Silvio è doppiamente indispettito. Non solo un giornalista qualsiasi ha scelto di puntargli addosso la Colt della «rivoluzione liberale»: sembra addirittura che la maneggi con più disinvoltura di lui, Berlusconi, che dal 1994 accampa diritti di monopolio sul centrodestra. Insofferente, Il pistolero Silvio ha consigliato a Sallusti di oliare la penna. Il direttore del Giornale ha eseguito pubblicando l'articolo famoso secondo cui i lombardi che votano Giannino sarebbero «come il marito che si taglia le palle per fare dispetto alla moglie». I commenti via web dei lettori, la stragrande maggioranza dei quali a sostegno del leader di FARE, dimostrano come simili prese di posizione rafforzino la fronda del centrodestra antiberlusconiano più che infiacchirla.
Questo tormenta Berlusconi più di ogni altra cosa: per piccola che sia, FARE-Fid è una crepa evidente nel muro del suo elettorato. Quale il rimedio alternativo alle critiche, le scomuniche, le accuse? Il silenzio. Sulle reti Mediaset non si parla di Giannino, o se ne parla male. Qualche sera fa, riportando le dichiarazioni dei leader più in vista, il Tg 4 ha dato spazio a tutti, ma proprio a tutti, ma non al giornalista torinese. Intendiamoci: tutti vuol dire tutti. Da Monti a Ingroia, da Vendola a Bersani, da Maroni a Di Pietro. Non solo. A Berlusconi basterebbe poco per organizzare uno spettacolo come quello di Annozero di qualche settimana fa, un bel faccia a faccia: allora giocava fuori casa, contro Travaglio e Santoro. Potrebbe allestire un match con Giannino davanti alla tifoseria amica, e schiacciare il suo debole avversario. Eppure non lo fa. Che le succede, Cavaliere? Paura non ne può avere. Forse è troppo impegnato con la campagna elettorale. Ma cosa meglio di un dibattito vittorioso con il capo di FARE può ricondurre all'ovile i dissidenti? Chissà. Misteri della lotta politica italiana. Che non si basa tanto sulle idee, quanto sugli uomini e la loro credibilità. I libertari non possono considerare Berlusconi uno dei loro. Nemmeno Giannino lo è. Ma paragonato al Cavaliere, Oscar sembra Rothbard, e (se non altro per motivi di
«anzianità politica») gode di una credibilità ben maggiore. Per questo a molti elettori, libertari e non, sembra il meno peggio.

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