venerdì 11 gennaio 2013

Scola: libertà religiosa e laicità dello Stato

di Damiano Mondini

Ricorre quest’anno l’anniversario dell’Editto di Milano, emanato dall’imperatore Costantino nel 313. Rileggere e riflettere sul discorso tenuto sul tema dal Cardinal Angelo Scola,  in occasione della solennità di Sant’Ambrogio (7 dicembre 2012), è particolarmente istruttivo e aiuta a fare chiarezza su diverse questioni nodali per chi combatte oggi la battaglia della libertà. L’Arcivescovo di Milano esordisce citando il giurista Gabrio Lombardi: “L’Editto di Milano del 313 ha un significato epocale perché segna l’initium libertatis dell’uomo moderno”. Non solo perché contribuì ad arginare ed in seguito a superare le persecuzioni ai danni dei cristiani, ma soprattutto perché determinò, afferma Scola, “l’atto di nascita della libertà religiosa”; e con essa, si affermò nella sua centralità l’idea della “laicità dello Stato”, costante della modernità che necessita nondimeno di essere analizzata e sviluppata nelle sue possibili derivazioni.
Alle origini della libertà religiosa
L’esempio di un illustre predecessore di Scola, l’Arcivescovo Ambrogio, rende la misura dell’importanza dell’Editto costantiniano e delle sue conseguenze: Ambrogio esortava infatti i fedeli alla lealtà nei confronti dell’autorità civile, imponendo tuttavia a quest’ultima di garantire ai cittadini libertà personale e sociale. Un forte atto d’accusa ante litteram alle strutture politiche della modernità, che esigono fedeltà dai propri sudditi proprio quando impongono loro la propria unica voce senza contraltare alcuno. Non v’è dubbio che la libertà religiosa evocata dall’Editto sia stata in seguito pervertita dalla commistione fra potere politico e religione, peraltro in un contesto di progressivo depotenziamento della sensibilità religiosa a tutto vantaggio della secolarizzazione e del consolidamento dello Stato moderno. In ogni caso, il problema ha trovato una efficace soluzione della dichiarazione Dignitatis Humanae, emanata nel 1965 dal Concilio Vaticano II : in essa si afferma che “l’uomo ha diritto a non essere costretto ad agire contro la sua coscienza e a non essere impedito ad agire in conformità ad essa”. La persona umana, dunque, è titolare della libertà religiosa, che “perdura anche in coloro che non soddisfano l’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa”. L’innovazione di tale messaggio consiste nel distinguere l’errore dall’errante, seconda la grande lezione di Papa Giovanni XXIII: se non v’è tolleranza nei confronti dell’errore, ossia della negazione della verità – la cui ricerca viene ribadita come obbligo del fedele -, l’errante rimane titolare di diritti, e in quanto tale inviolabile nella propria persona. Non si tratta,  rileva Nikolaus Lobkowicz, “di un diritto al cospetto di Dio: è un diritto rispetto ad altre persone,  alla comunità e allo Stato”. E’ questo un messaggio imperniato dunque sulla dignità dell’individuo, valida erga omnes ed esercitabile in modo particolare nei confronti dei pubblici poteri, quelli appunto cui Ambrogio imponeva il rispetto della libera dimensione del singolo. Nella lezione insieme cattolica e liberale di Antonio Rosmini, è l’affermazione perentoria di una libertà che trova  nella sfera individuale la propria espressione  e nella proprietà altrui il proprio limite invalicabile, nel nome del rispetto cristiano dell’Altro. Scola intende nondimeno sviscerare nel profondo il rapporto sovente ambiguo fra la sensibilità religiosa ed una sfera politica che, con il dichiarato intento di tutelarne il libero esercizio, assume in realtà comportamenti che ne minano alla base l’implementazione.
La libertà religiosa e lo Stato
L’esempio addotto dal Cardinale, tratto dalla più cogente attualità, potrebbe disorientare gran parte dei vessilliferi della “laicità dello Stato”: “di ferita alla libertà religiosa parla in modo esplicito la Conferenza episcopale degli Stati Uniti a proposito dell’HHS Mandate, cioè alla riforma sanitaria di Obama che impone a vari tipi di istituzioni religiose (specialmente ospedali e scuole) di offrire ai propri impiegati polizze di assicurazione sanitaria che includano contraccettivi, abortivi e procedure di sterilizzazione”. La questione non è eccessivamente dissimile dalla lotta dei pro-life statunitensi – tra le cui fila spiccano libertari del calibro di Ron Paul – contro il finanziamento federale delle cliniche che praticano l’aborto: gli anti-abortisti, lungi dal chiedere l’abolizione delle pratiche abortive legali, si battono affinché siano i singoli Stati dell’Unione a legiferare in materia, e dunque a scegliere se finanziare o meno pubblicamente i propri istituti – in un’ottica di “concorrenza legislativa” applicata con coerenza al caso di specie. Il principio è chiaro: affermare il diritto di ciascuno alla obiezione di coscienza, al rifiuto di rendersi complice di un’azione che reputa immorale, sovvenzionando la quale – seppur indirettamente, mediante la tassazione - verrebbe meno a un ideale in cui crede. Ecco dunque che il giudizio morale sulle legge diviene ineluttabilmente un problema di libertà religiosa: la potestà legislativa dello Stato è destinata a configgere con le istanze etiche e religiose dei cittadini cui impone il proprio imperio. La motivazione addotta per giustificare tali pratiche, caratteristiche dello Stato liberal-democratico, è fondamentalmente l’ideale francese della laïcité, introdotto peraltro con lo scopo dichiarato di porre a tutela proprio la libertà religiosa. Tale modello “si basa sull’idea dell’in-differenza, definita come “neutralità”, delle istituzioni statuali rispetto al fenomeno religioso e per questo si presenta a prima vista come idoneo a costruire un ambito favorevole alla libertà religiosa di tutti”. Nondimeno, esso non è stato storicamente in grado di raggiungere le finalità che si era preposto, ed il Cardinal Scola ne illustra le ragioni. Innanzitutto, l’idea di “neutralità”, misconoscendo il dato fondamentale per cui la divisione più profonda del mondo moderno è fra le istanze secolari e quelle religiose, ha dissimulato sotto il velo della giusta aconfessionalità dello Stato il sostengo ad un ben definito modello culturale. Sbandierando dunque il vessillo della laicità, e del suo essere super partes nelle questioni etiche e religiose – queste ultime relegate al puro ambito personale, private di qualsivoglia implicazione sociale e politica –, lo Stato moderno ha in realtà avallato una Weltanschauung imperniata sul secolarismo e priva di Dio. Ma questa, sottolinea Scola, “è una tra le varie visioni culturali che abitano la società plurale. In tal modo lo Stato cosiddetto “neutrale”, lungi dall’essere tale fa propria una specifica cultura, quella secolarista, che attraverso la legislatura diviene cultura dominante”, emarginando le istanze religiose fino ad espellerle dalla vita pubblica. La conclusione del Cardinal Scola, fortemente sentita e di indubbia efficacia, merita di essere riportata per intero, poiché contribuisce, con sintesi e chiarezza, a dipingere l’attuale  drammatico panorama in cui la statualità ha soppiantato l’ambito religioso, dopo essersene servita in passato per imporre il proprio modello imperante: “lo Stato, sostituendosi alla società civile, scivola, anche se in maniera preterintenzionale, verso quella posizione fondativa che la laïcité intendeva rigettare, un tempo occupata dal “religioso”. Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde – almeno nei fatti – una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di aperture al trascendente. In una società plurale essa è in se stessa legittima ma solo come una tra le altre. Se però lo Stato la fa propria finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa”. Se è lecito dubitare del carattere preterintenzionale di tale slittamento, è fuor di dubbio che tale sia stato l’effetto perverso della secolarizzazione: essa, lungi dal sostituire la Ragione alla Fede, ha depauperato una religiosità volontaria e spontanea a favore di un’ideologia di Stato che maschera il proprio carattere coercitivo sotto le spoglie della tolleranza.

Una religiosità volontaria, un individuo libero
Sulla scorta dell’insegnamento potentemente innovativo – e in un certo senso rivoluzionario – della Dignitatis Humanae, Scola ribadisce un concetto cardine che accomuna la cultura cattolica a quella liberale: “l’adesione alla verità è possibile solo in maniera volontaria e personale e la coercizione esterna è contraria alla sua natura”. Il documento cita in effetti  la Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino, laddove si afferma che “ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità in materia religiosa, utilizzando mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza”. Un ostacolo a questo diritto/dovere del fedele è rappresentato dalla succitata pretesa di neutralità delle istituzioni, che accomuna surrettiziamente la libertà religiosa all’indifferentismo religioso – o, peggio ancora, al relativismo etico: quest’ultimo paradigma finisce dunque per configurarsi come una specifica mondovisione che vanta una egemonia sugli altri punti di vista, e ne limita costantemente l’esercizio. La libertà del non fedele di non perseguire la verità, aggiunge Scola, è lecita e legittima fintantoché non è assunta implicitamente dallo Stato quale fondamento della propria aconfessionalità: nel qual caso, essa diviene tanto illegittima quanto l’imposizione coercitiva di un credo – e peraltro fu sotto quest’ultima modalità che andò affermandosi il potere dello Stato nell’età moderna, sfruttando la religione come instrumentum regni. Nei fatti, benché sul punto Scola non possa essere per forza di cose esplicito, si è assistito all’instaurazione di un regime confessionale fondato sull’adesione imperativa alla potestà statuale, assurta al rango di “religione laica” proprio sulla spinta di istanze secolariste di chiara matrice illuminista. Alla presunta “liberazione” dalle tenebre dell’ignoranza e della superstizione – e sorvoliamo sulla pochezza intellettuale di questo giudizio storico sul passato che accomunò Rinascimento e Illuminismo – è in realtà corrisposto uno sviluppo senza precedenti del potere politico, che proprio prevalendo sulla libertà religiosa e sulle istanze della Chiesa è andato affermandosi come unica prospettiva di vita possibile. Riflettere su questa realtà non è un’operazione di revisionismo storico – anche se nulla di male vi è in questa pratica intellettuale fondamentalmente libertaria -: al contrario si tratta di rileggere il passato senza pregiudiziali moderniste, figlie a loro volta di quell’imposizione culturale che tanto ha rafforzato il sostengo alla potestà statuale. Concludendo, è necessario definire cosa implichi oggi per il fedele – e anche per chi tale non è – riaffermare la propria libertà religiosa: questa deve essere una richiesta forte da avanzare non nei confronti della Chiesa – che dalla secolarizzazione è, comunque la si veda, uscita sconfitta -, ma al potere politico, ad uno Stato cui deve essere imposto il rispetto di quella “libertà personale e sociale” cui faceva esplicito riferimento Sant’Ambrogio. La libertà nella scuola, nella sanità e nella cultura implicano la cessione da parte delle pubbliche autorità del proprio sostanziale monopolio, a vantaggio di una scelta intimamente volontaria degli individui. Non si tratta di un’aspirazione astratta – anche se, è da ammettere, nella sua purezza essa va inesorabilmente rimandata nel tempo: nell’immediato, la battaglia per il principio di sussidiarietà è la forma più concreta di riaffermazione del primato dell’individuo sulle pretese del potere, favorendo peraltro quella concorrenza di mercato di cui sono noti i benefici sotto il profilo economico e della qualità dei servizi. Tale principio lascia amplissimi margini di autonomia alla libera fornitura privata di servizi fondamentali, prevedendo un intervento marginale dello Stato laddove il privato – per ragioni che, discutendo, si arriverebbe in ogni caso ad attribuire allo Stato medesimo – non sia in grado di rispondere alle esigenze della popolazione. Quale che sia la via migliore da percorrere, resta assodato che tale cammino per la rivendicazione della propria libertà religiosa è fondamentale per tutti, ma per chi crede esso si configura come un “imperativo categorico” dal quale non è possibile esimersi, poiché la fede non può essere in alcun modo subordinata all’imposizione coattiva del potere politico.

1 commento:

  1. Yo quiero ser libre de elegir y ejercitar mi fè..libre albedrio!!!Libera Scelta!!!! El Individuo nace libre....se entiende.La Chiesa siamo noi....Il popolo siamo noi!

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