lunedì 28 gennaio 2013

Cameron: «Dentro o fuori!»

di Paolo Amighetti

L'ultima uscita del premier britannico Cameron, alla quale subito ha ribattuto il presidente francese Hollande, ha scatenato una sequela di polemiche. Cameron ha annunciato che gli inglesi voteranno abbastanza presto, entro il 2017, per decidere se restare o meno nell'Unione Europea. Apriti cielo: Hollande ha prontamente risposto che «l'Europa non è negoziabile» e che l'iniziativa britannica va contrastata con forza. Anche il ministro degli Esteri tedesco Westerwelle ha reagito con freddezza, e a quanto pare pure i media nostrani stanno con l'Eliseo: «Cameron minaccia un referendum» titolava poche sere fa il Tg di La7. Come se il prime minister, coltello tra i denti, avesse in mente chissà quale ricatto. Insomma, dove sta il problema? Perché allarmarsi, se solo gli inglesi vengono chiamati alle urne per decidere del loro futuro nell'Europa comunitaria? Evidentemente, al di là della Manica sembra sciocco rimanere agganciati ad un carro europeo sempre più scalcinato, e non a caso Cameron ha dichiarato: «noi rispettiamo chi ha come obiettivo quello di essere sempre più integrati, ma questo non è il nostro scopo e dobbiamo essere lasciati liberi di decidere di non essere trascinati in altrui scelte di vita». Lo stesso rifiuto dell'Euro è sintomo della tradizionale allergia degli inglesi alle trame politiche continentali, che li ha sempre spinti a forme di «isolazionismo» più o meno marcate e lungimiranti.
Niente di nuovo sotto il sole, dunque. Ad intimorire è semmai l'atteggiamento dell'Europa, che si fa di anno in anno più aggressiva e arrogante. Le élites di Bruxelles intendono bruciare le tappe lungo il cammino dell'integrazione, dell'assimilazione: il tutto a scapito dei cittadini europei, le cui classi dirigenti dovrebbero confluire in un nuovo super-Stato. Che ha già mostrato il suo volto dirigista e coercitivo e rivelato la sua vocazione per la regolamentazione. È dunque il caso di augurare buona fortuna al Regno Unito, che riesca ad andarsene dal gran condominio continentale. D'altronde, benché Cameron abbia sottolineato che «sarà un viaggio di sola andata», i rapporti tra Londra e Bruxelles finirebbero per ricalcare quelli che oggi legano all'Unione Paesi come la Svizzera: un insieme di accordi bilaterali e trattati commerciali. Come rileva Carlo Lottieri sul suo blog, «un Regno Unito fuori dall’Unione creerebbe di fatto una "seconda Europa" e darebbe un'alternativa ai nuovi nati. A Bruxelles avremmo un'Europa burocratica e centralista, mentre Londra potrebbe collegarsi ai Paesi dell’Efta (Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein) e attirare a sé quelle realtà più dinamiche che sfuggono alla tirannia di un potere centrale oppressivo e che -nella scelta tra Ue ed Efta- potrebbero trovare molto più attraente un largo accordo di libero scambio che offra quasi tutti i benefici della Unione europea, rinunciando a tutti gli oneri.» Insomma, in Italia, in Francia, in Germania molti sembrano borbottare: «Porci inglesi, che difendono i loro interessi!». Perché mai dovrebbero difendere i nostri?                             

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