venerdì 14 dicembre 2012

La filantropia del profitto


Di Stephen J. Dubner e Steven D. Levitt (traduzione e premessa di Tommaso Cabrini)


Da studenti (non pretendiamo di essere denominati nemmeno studiosi) di economia austriaca non ci interessa studiare con grandi formule matematiche l’economia nel suo complesso, azione che non si rivelerebbe altro che una pretesa di conoscenza.
Per questo mi è sembrato interessante proporre un articolo, scritto dagli autori dei libri Freakonomics e SuperFreakonomics, che studia l’azione umana, riducendo al minimo le presunzioni e focalizzandosi sulle scelte dei singoli individui. Con questo pezzo non si intende fare nulla di più che uno spaccato di un settore molto particolare, il no profit.
Naturalmente, come è loro solito, Dubner e Levitt non approcciano in modo tradizionale e banale il problema ma osservano come i metodi tradizionali non si rivelino sempre i migliori.
In particolare in questo articolo viene mostrata l’importanza della concorrenza come motore di sviluppo dell’innovazione. Tramite la concorrenza si possono non solo sviluppare modi diversi per approcciare ad un problema ma anche avere risposte su quali modalità risultino più efficienti e più efficaci.
Altro tema importante sono gli incentivi: le persone rispondono agli incentivi ed agiscono di conseguenza, se gli stimoli che si offrono sono sbagliati o mal calibrati i frutti non arriveranno, oppure saranno risultati opposti a quelli voluti.
Il concetto più importante però compare perfino nel titolo; il profitto, viene ripetuto in Italia, è una cosa quasi sempre negativa, che non porta alcun bene alla società nel suo complesso, al massimo (come sostiene anche la costituzione) può essere distruttivo del “utilità sociale”. Ora tramite lo scritto di Levitt e Dubner il profitto assume una valenza totalmente diversa, la sua vera valenza, cioè di incentivo ad agire e di conferma di raggiungimento dei risultati prefissati.
Naturalmente parliamo di esempi rigorosamente privati, qui il profitto privato è l’incentivo ad agire filantropicamente, in concorrenza con altre organizzazioni che si pongono gli stessi fini ma con mezzi e strutture differenti, dove l’utile (la bottom-line del titolo originale) rappresenta chi ha successo nel raggiungere gli scopi.
In futuro ho intenzione di proporre altre traduzioni degli stessi autori, spero quindi risulti interessante quanto presentato oggi.



L’effetto Soccer Boy
L’epifania di Brian Mullaney avvenne in Vietnam nel 1994. Stava viaggiando come membro del Consiglio di Amministrazione con Operation Smile, un’organizzazione di beneficenza che effettuava interventi chirurgici in tutto il mondo ai bambini poveri affetti da labbro leporino e palatoschitosi. Poiché l’organizzazione trasportava via aereo medici e attrezzatura chirurgica dagli Stati Uniti, le sue attività in un dato luogo erano limitate. “Ogni missione 500 o 600 bambini si presentavano implorando per l’intervento” ricorda Mullaney, “ma noi potevamo aiutarne solo 150”. In un piccolo villaggio vietnamita, vicino al confine cinese, c’era un bambino che giocava a calcio ogni giorno con i volontari; lo cominciarono a chiamare Soccer Boy. Quando la missione finì, e Mullaney e gli altri se ne andarono, egli vide Soccer Boy correre dietro al pullman del gruppo, con il suo labbro leporino non operato. “Eravamo shoccati – come è possibile che non sia stato aiutato?” Fu allora che Mullaney si rese conto che le organizzazioni di beneficenza come Operation Smile avevano pesantemente bisogno di un nuovo modello di business – o, in effetti, di un modello di business in assoluto – e cominciò ad idearne uno.

L’epifania di Rafe Furst arrivò proprio lo scorso anno mentre assisteva ad una conferenza a porte chiuse a Gran Rapids, Michigan, a cui partecipavano alcuni dei più illustri ricercatori sul cancro degli Stati Uniti. Furst potrebbe non sembrare la persona più adatta a trovarsi in tale stanza. Egli è meglio conosciuto come un giocatore d’azzardo professionista, un orgoglioso membro di un squadra di pokeristi d’alto profilo, e d’alto Q.I., conosciuta come i Tiltboys. Ha una laurea di primo livello [undergraduate] in sistemi simbolici ed una laurea di secondo livello [graduate] in scienze informatiche, entrambe a Stanford, e nel 1999 intascò una piccola fortuna vendendo una agenzia di promozione online di cui era tra i soci fondatori. (Disclosure: Furst è un nostro amico, e siamo entrambi investitori in una sua più recente start-up, il cui obiettivo sociale non ha a che vedere con questo articolo.)

Furst ed alcuni altri Tiltboys cominciarono a donare parte dei loro guadagni a poker alla Prevent Cancer Foundation, e nel 2004 fu invitato ad unirsi al loro Consiglio di Amministrazione. Vide la conferenza di Grand Rapids come una via per imparare di più sul cancro e come veniva combattuto. Invece dice: “Caddi in un buco nero. Andando la, vidi che c’erano alcune cose incasinate. Il sistema non è affatto pensato per risolvere il problema.” Sentì che la comunità dei ricercatori sul cancro era composta da innumerevoli persone ben intenzionate che, collettivamente, si trasformarono in un covo di interessi in competizione e incentivi disallineati, dove venivano contesi finanziamenti e persino informazioni. 

Così anche Furst ideò un nuovo modello di business per la beneficenza. La sua idea è poco più dell’unione di due incentivi collaudati a lungo: il premio e il profitto. Ispirato dalla sponsorizzazione dell’innovazione nei viaggi spaziali ed altri campi della X Prize Fundation, Furst volle creare un gigantesco premio, qualcosa come 10 miliardi di dollari, che sarebbe andato alla squadra, o alle squadre, che avesse raggiunto la “cura” per il cancro, così come definita dal comitato che istituisce il premio.
E da dove sarebbero usciti quei 10 miliardi di dollari? “Non voglio i Bill Gates” dice Furst “voglio i milionari, non sul podio, che desiderino fare la differenza”. Furst ritiene che le strade siano lastricate di aspiranti filantropi, specialmente gente giovane, che vorrebbe che le associazioni non a scopo di lucro operassero un po’ più come l’ambiente a scopo di lucro che sono abituati a frequentare. Questo significa stabilire potenti e realistici incentivi.

I ricercatori sul cancro sarebbero certamente incentivati dal premio di 10 miliardi di dollari. Ma come incentivare i donatori? Furst vorrebbe offrire una rendita, simile alle rendite pagate dai charitable remainder trusts. Un donatore a tale trust devolve denaro o immobili in beneficenza e riceve una rendita annuale fissa, in base al valore della donazione, fino alla sua morte. “E’ un’idea grandiosa” dice Furst “Ma, sto pensando, come possiamo fare ciò senza che uno debba morire?”

Un filantropo che donasse ad un ipotetico Cure Cancer Annuity Fund riceverebbe qualcosa come il 15 percento di rendita su quanto versato, finchè i 10 miliardi di dollari non sono stati interamente finanziati; dopodiché riceverebbe una rendita del 5 percento (questo dipenderebbe, naturalmente, dalla capacità del fondo di generare tali profitti; Furst confida che alcuni suoi amici negli hedge fund possono farcela). La rendita si fermerebbe solo quando l’obiettivo – la cura per il cancro - fosse raggiunto ed il capitale fosse pagato ai vincitori. La più grande intuizione di Furst potrebbe essere l’aver riconosciuto che, per molta gente, l’atto di altruismo non è così puro come potrebbe sembrare. In questo caso, qualunque disturbo a donare da parte di un benefattore sarebbe controbilanciato dal piacere di ricevere qualcosa in cambio. 

L’idea di Furst, per il momento, è ancora in fase di progettazione. L’idea di Brian Mullaney, nel frattempo, ha già dato molti frutti. L’incidente in Vietnam con Soccer Boy gli ha fatto realizzare, dice, che le deformazioni da labbro leporino e palatoschitosi “non sono un problema medico; sono un problema economico”. Come filantropo, offrire interventi chirurgici solamente ad una frazione dei bambini bisognosi gli spezza il cuore. Come businessman – al tempo gestiva un’agenzia pubblicitaria – lo fa rabbrividire. “Quale negozio gira le spalle all’80 percento dei suoi clienti?”.

Mullaney ha aiutato a concepire un piano. Invece di usare i milioni di dollari di Operation Smile, raccolti con fatica, per far volare aerei ed equipaggiamenti in giro per il mondo per modesti impegni, cosa succederebbe se i soldi fossero usati, invece, per addestrare ed equipaggiare i medici locali ad effettuare interventi al labbro leporino tutto l’anno? Mullaney immaginò che i costi per operazione sarebbero crollati almeno del 75 percento, e non vide alcuna ragione per cui non si dovesse tentare. I capi di Operation Smile vedevano le cose in modo differente, così Mullaney e pochi altri abbandonarono l’organizzazione e diedero vita ad un gruppo rivale, Smile Train. Col tempo, Mullaney uscì dal business pubblicitario e divenne presidente della nuova organizzazione.

Smile Train funziona come beneficenza perchè lavora come un business. Aggiustare il labbro leporino o la palatoschitosi di un bambino è una procedura relativamente economica con un enorme profitto, i bambini affetti da tali deformazioni in molti paesi sono ostracizzati e fanno fatica ad andare a scuola, trovare lavoro e sposarsi, la chirurgia elimina questi handicap. Così, quando strattona un Governo riluttante, Mullaney si riferisce ai bambini affetti da questi problemi come “asset non profittevoli” che possono essere reimmessi a breve nel ciclo economico. Combatte contro i cattivi incentivi con altri, migliori: quando Smile Train ha scoperto che le ostetriche a Chennai, India, venivano pagate per soffocare le bambine nate con queste deformazioni, Mullaney cominciò ad offrire alle levatrici la cifra di 10 dollari per ogni bambina che avrebbero portato in ospedale per l’intervento chirurgico.

Smile Train, inoltre, ha imbrigliato la tecnologia per fare efficienza in ogni aspetto del suo business, dalla raccolta fondi al tracciare gli esiti dei pazienti. Ha sviluppato un software che aiuta ad istruire i medici in tutto il mondo. Ci sono processi di controllo della qualità ad alta tecnologia: usando immagini digitali, uno specialista del Texas da un voto ad un campione casuale di operazioni, effettuate, in giro per il mondo, dai medici di Smile Train, in modo da sapere quali chirurghi in Uganda o in Cina, necessitino di maggiore formazione. Queste sono il tipo di innovazioni che rendono Smile Train una delle più produttive associazioni di beneficienza, in termini di denaro per risultati, al mondo. Negli ultimi otto anni Smile Train ha effettuato più di 280.000 operazioni chirurgiche in 74 tra le nazioni più povere del mondo, raccogliendo una cifra di circa 84 milioni di dollari lo scorso anno, mentre impiega in tutto il mondo uno staff di sole 30 persone. 

Mullaney stima che Smile Train sia vicina a raggiungere uno storico punto di pareggio: effettuerà, ogni anno, più operazioni di quante siano le nascite di bambini affetti da labbro leporino e palatoschitosi nei paesi in via di sviluppo. Questo significa che Smile Train potrebbe essere sulla buona strada per buttarsi fuori dal mercato. “Questo” dice Mullaney “sarebbe un sogno”.

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