giovedì 4 ottobre 2012

Legalità e mass-media

di Paolo Amighetti

La società del ventunesimo secolo è profondamente diversa da quelle che l'hanno preceduta nella storia; molti elementi la contraddistinguono da quelle passate e contribuiscono a renderla più complessa, problematica, sfaccettata di ogni altra. Negli ultimi due secoli tante innovazioni e scoperte hanno rivoluzionato la vita della società civile, modificandone le abitudini e le stesse caratteristiche. Come tutti i Paesi occidentali, anche l'Italia ha vissuto questi cambiamenti, che l'hanno senza dubbio trasformata. La società chiusa e provinciale di inizio Novecento, dagli orizzonti limitati ed estremamente ristretti, è solo un ricordo; oggi siamo in contatto diretto con il mondo intero, grazie alla rete, ai cellulari, ai mass-media. Non per nulla, a detta di molti esperti, siamo appena usciti dalla cosiddetta era dell'informazione per entrare in quella, ancora più innovativa, delle telecomunicazioni. Nel corso degli ultimi decenni, i mezzi di comunicazione di massa si sono diffusi e sviluppati in efficacia. Nella prima metà dello scorso secolo ai media tradizionali come i quotidiani si sono affiancati per la prima volta la radio e il cinema, ed infine qualche anno più tardi la televisione. Anche grazie ad essi, alcuni dei più efferati regimi politici sono riusciti a controllare e dominare l'intera società, eliminandone ogni capacità di reazione: basti pensare all'efficacia del Ministero della Propaganda di Joseph Goebbels, o all'uso che il regime nordcoreano fa del mezzo televisivo. Tra parentesi: la recente campagna della RAI contro gli evasori fiscali, «parassiti della società», cos'è se non un tentativo di diffondere una menzogna governativa per trasformarla in verità? Ad ogni modo, l'avvento di Internet ha aggiunto un altro importante tassello all'attuale, gigantesco mosaico dei mass-media.



Giornali, televisione, Internet sono elementi essenziali della nostra esistenza, indispensabili per la conservazione della società odierna. Siamo avidi di informazione, di pubblicità, di espedienti utili sia per imparare sia per sprecare il nostro tempo. Ci siamo abbeverati alla fonte della comunicazione globale ed incontrollata e, inebriati, non riusciamo a concepire la nostra vita senza Internet e televisori. I giornali cartacei rivestono ancora un ruolo importante, ma esso è stato negli ultimi anni indebolito dalla dilagante e capillare diffusione di Internet e dalle potenzialità informative della rete.
I mass-media, dato il potere sempre più influente che esercitano sull'opinione pubblica, possono sicuramente modificarne i giudizi su vari temi e condizionarne le inclinazioni. In teoria, proprio in virtù di questa capacità di catalizzare l'interesse collettivo, essi potrebbero anche assolvere il compito di «educare» la società: potrebbero essere in grado, ad esempio, di diffondere efficacemente l'idea e il concetto d'importanza capitale della cosiddetta «legalità», di cui molti si riempiono la bocca. Meglio il rispetto delle leggi che il Grande Fratello 13, no? Fermiamoci un attimo: prima di dare giudizi, dovremmo chiederci cosa sia la legalità. È l'insieme delle norme considerate corrette e utili -e quindi, per l'appunto, «legali»- che costituiscono, nel loro insieme, il regolamento che una determinata società deve seguire. Essa ha il compito di dividere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, di definire la correttezza di determinate azioni e la criminalità di altre. Quello di «legalità» è un concetto stabilito dagli Stati, che le società che agiscono all'interno del territorio ad essi sottomesso sono tenute a riconoscere.
È importante ricordare che l'idea di «legalità» è parto e creazione dello Stato: da ciò se ne deduce facilmente il carattere arbitrario. Ciò che è «legale» per uno Stato, per un altro può non esserlo, e viceversa; ciò che è permesso in un territorio sottomesso all'autorità di un determinato Stato può non essere ammesso nella zona controllata da un altro Stato. Benché molti ne parlino come di un valore «universalmente condiviso», non è mai esistita una e una sola idea di legalità nella storia. Essa è sempre variata a seconda delle latitudini o dei regimi e anche oggi, all'interno di singole società, esistono parecchi dibattiti e divisioni riguardo a ciò che dovrebbe essere legalizzato -ovvero permesso- e ciò che andrebbe bandito o proibito. Naturale che ci si ponga il problema di come diffondere efficacemente il concetto di legalità; ovvio che l'autorità statale senta il bisogno di definire chiaramente la divisione tra ciò che giudica giusto e ciò che ritiene sbagliato. Affidare questo compito ai mass-media, tuttavia, appare sconsigliabile. I mezzi di comunicazione di massa non possono assumersi un impegno formativo nei confronti della società civile, semplicemente perché non a questo sono stati predisposti e perché tentandovi diventerebbero qualcosa di differente da ciò che sono. I media non vogliono -e, direi, non devono- educare, ma soltanto soddisfare le esigenze dei clienti, degli spettatori, degli utenti. Come ironizzava Groucho Marx, «la televisione è molto educativa: ogni volta che qualcuno l'accende, vado in un'altra stanza e leggo un libro».
Devono diffondere informazioni interessanti per il pubblico, precise, d'attualità; pubblicizzare in modo accattivante i più disparati prodotti; mandare in onda programmi non necessariamente educativi e formativi, ma che siano graditi ad un grande numero di persone. Tutti i giornali diffondono varie informazioni -reali o fasulle- sostanzialmente per un interesse commerciale; nell'universo della carta stampata esistono inoltre dei veri e propri fogli di partito che hanno come scopo unicamente diffondere verità parziali e faziose. La televisione, poi, è forse l'apparecchio che più dipende dai gusti dei potenziali utenti ed è quindi soggiogata alla volontà del pubblico.
Le nuove generazioni più di altre categorie della società sono strettamente a contatto con i mass-media, ma da essi non ricevono che un contraddittorio miscuglio di informazioni e mezze verità. Niente fa pensare che i media abbiano interesse a istruire veramente i giovani, né che i giovani desiderino comprendere appieno il significato della legalità normalmente intesa.
A meno che lo Stato non si arroghi, di punto in bianco, il diritto di manipolare gli efficacissimi mezzi di comunicazione di massa esistenti oggi -come accade negli scenari distopici orwelliani- sembra sia difficile che essi si trasformino, da meri servi dei consumatori, in strumenti di diffusione di un certo modo di pensare. Proprio perché l'idea di legalità ha molte implicazioni teoriche e una grande complessità, al di là dell'innegabile arbitrarietà e relatività del concetto, sarebbe meglio studiarla e tentare di comprenderla a fondo, piuttosto che farsela impiantare nella testa, come fosse la pubblicità di un detersivo.

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