domenica 2 settembre 2012

Finché le tasse non ci separino: lo Stato e il matrimonio (parte prima)

di Camilla Bruneri e Tommaso Cabrini

“I giovani non considerano più il matrimonio come la migliore delle relazioni: il matrimonio non è più visto come il miglior modo di relazionarsi dalle giovani generazioni. Questo è ciò che è emerso da un vasto sondaggio fatto in Gran Bretagna: le coppie che si sposano diminuiscono di anno in anno, mentre cresce il numero di chi sceglie di vivere insieme, senza sposarsi.” Queste le parole con le quali il Daily Telegraph apre l’articolo dedicato non tanto al matrimonio come fenomeno sociale, quanto ad un puro fatto di carattere morale: ad essere attaccato in questo caso non è la tendenza ad affidarsi alla ribellione alle istituzioni (quando mai!), quanto l’”egoismo globale” che porta inesorabilmente alla distruzione dell’unità familiare da parte della popolazione globale, ormai dimentica delle tradizioni.

Eppure, se ci fermassimo ad analizzare la storia, ci renderemmo conto che il matrimonio come lo conosciamo noi oggi è solo una delle tante facoltà delle quali lo Stato si sia insignito, ma la tradizione, quella vera, del matrimonio ha radici ben diverse. Al giorno d’oggi siamo abituati a vedere il matrimonio come un’istituzione collegata ad un particolare rituale, che non può che svolgersi davanti a un’autorità ed infine valevole solo perché registrato dallo Stato.

Ma come funzionava prima che lo Stato si prendesse il compito di regolare, controllare, registrare e non da ultimo tassare il matrimonio? Indubbiamente c’era la Chiesa, ma è sempre stato immutato il sacramento del matrimonio? Da queste domande è nata una piccola ricerca sulla storia del matrimonio in Europa, ma in questo viaggio dovremo partire dalla fine.

Oggi il matrimonio non può che essere contratto tra tre parti: un uomo, una donna e lo Stato; quest’ultimo dispensa diritti e doveri (secondo leggi standard) ai primi due, tant’è che non si concepisce un matrimonio che non sia stato regolarmente approvato burocraticamente.
L’inconcepibilità di un matrimonio al di fuori dello Stato ha aperto una lunga lista di rimostranze da parte di tutti coloro i quali non rientrano nel matrimonio “classico” per fare in modo che anche la loro situazione venga riconosciuta: coppie omosessuali, poligami, matrimoni di gruppo eccetera.

L’istituzione del matrimonio civile nasce solamente nel 1875, con l’introduzione da parte del cancelliere tedesco Otto von Bismarck del Zivilehe con lo scopo di accrescere la separazione Stato-Chiesa (anche se la pratica di registrare il matrimonio da parte dello Stato ha radici molto più antiche: nacque infatti con la riforma protestante, nel XVI secolo).

Ma anche la dottrina del matrimonio secondo la Chiesa ha un’origine ben precisa: il sacramento come lo conosciamo noi oggi ebbe origine con il concilio Lateranense IV del 1215 e rafforzato con il concilio di Trento nel XVI secolo. Prima di allora il matrimonio si svolgeva in modo molto diverso: innanzitutto il matrimonio era un contratto a volte scritto, altre orale, da cui nacque l’esigenza di avere dei testimoni, davanti ai quali avveniva lo scambio delle promesse di matrimonio. Possiamo immaginare, ad esempio, un matrimonio di paese come una festa, con banchetto in un luogo rappresentativo, come una grande quercia, dove gli sposi si promettevano l’un l’altra e successivamente venivano presentati alla comunità dal capo villaggio come marito e moglie. Il matrimonio formalmente era monogamo tuttavia sono noti casi di poligamia, ad esempio le 5 mogli di Carlo Magno.  

Anche presso i romani il matrimonio esisteva nel quasi totale disinteresse da parte dello Stato (l’unica norma imperativa era la monogamia) tant’è che anche le modalità di contrarre matrimonio erano diverse: una forma religiosa prevedeva che gli sposi preparassero una torta di farro da offrire agli dei alla presenza del sommo pontefice. Nel caso si trattasse del primo matrimonio di una giovane il padre vendeva fittiziamente (ma probabilmente in tempi antichi lo scambio era molto più concreto) la figlia al marito, emancipandola così dalla famiglia d’origine. Infine esisteva anche il matrimonio “more uxorio”: se una coppia non sposata conviveva ininterrottamente per un anno veniva considerata sposata.

Durante l’impero il matrimonio cambiò e divenne sostanzialmente la cerimonia già descritta come adottata nel medioevo. Il matrimonio romano era tutt’altro che indissolubile: poteva essere sciolto in qualunque momento dal marito (in epoca tardo-repubblicana o imperiale anche la semplice richiesta della moglie poteva sciogliere il matrimonio) e le principali forme di ripudio consistevano nel richiedere alla moglie la restituzione delle chiavi di casa, oppure nel riaccompagnarla alla famiglia d’origine.

Infine presso gli antichi greci non esisteva alcuna forma di registrazione del matrimonio. Lo sposo firmava un contratto con il padre della sposa ed il matrimonio iniziava ad avere effetto con la convivenza, qualora fosse cessata definitivamente la convivenza anche il matrimonio si sarebbe rotto.
[continua]




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